An example of precision medicine: blocking the formation of pathological intravascular thrombi, without altering the haemostatic system in order to protect us from bleeding.
This is why factor XI seems to be the ideal target for patients at risk of thromboembolic events, especially with drugs independent of hepatic and renal function (monoclonal antibodies or genetic silencers).
Since 2019, studies have been underway in the prophylaxis of VTE in the surgical field, in the prevention of cardio-embolism in fibrillation and in frail patients at high risk of bleeding after cerebral stroke or myocardial infarction.
Safety studies suggest low bleeding rates with these newer drugs.
Phase 3 trials are underway to evaluate efficacy in patients at risk of thromboembolic events.
They are drugs that can be administered in a single intravenous administration with a persistent effect for 4-6 weeks, ideal in post-operative prophylaxis, or in a subcutaneous formulation once a week.
A third category of monoclonal antibodies has a short half-life and can be taken orally, which makes them extremely handy in the patient with a high risk of bleeding or in case of need for spontaneous suspension.
If the efficacy of these drugs able to reduce the risk of thrombosis, preserving the coagulation cascade in response to bleeding, were confirmed, all the anticoagulants currently in use would be quickly replaced.
Where did the idea come from?
From the experiments that mother nature makes, of course.
Patients with genetic FXI deficiency have significantly lower rates of VTE (75% less), stroke, and myocardial infarction (50% less) than the general population, with no increased rates of spontaneous or post-traumatic bleeding.
A single dose of monoclonal antibodies after knee replacement surgery has outperformed LMWH in preventing venous thromboembolism, without increasing the bleeding rate.
One study compared an oral anti-XI with apixaban in atrial fibrillation, showing greater safety on the risk of cerebral hemorrhage. Undersized study to evaluate its efficacy on the prevention of cardio-embolic stroke, but the dose used of the drug was able to inhibit more than 90% of the Factor XI activity.
Soon we should have the results of the use of an oral antiXI compared with rivaroxaban in patients with fibrillation.
Two studies evaluated the safety of anti XI associated with antiplatelet therapy after ischemic cerebral stroke, with no evidence of an increase in haemorrhagic events and show a dose-dependent reduction in the risk of cerebral ischemic recurrence.
One study evaluated the safety of anti XI associated with antiplatelet therapy after myocardial infarction, with no evidence of increased bleeding. The efficacy on the prevention of CV event recurrence requires a larger sample size and follow-up.
Gli inibitori del Fattore XI sono la chiave per anticoagulare senza sanguinare?
Ecco un esempio di medicina di precisione: bloccare la formazione di trombi patologici intravascolari, senza alterare il sistema emostatico in modo da preservarci dalle emorragie.
Ecco perché il fattore XI sembra il bersaglio ideale per i pazienti a rischio di eventi tromboembolici, soprattutto con farmaci indipendenti dalla funzione epatica e renale ( anticorpi monoclonali o silenziatori genetici).
Dal 2019 sono in corso degli studi nella profilassi del TEV in ambito chirurgo, nella prevenzione della cardio-embolismo nella fibrillazione e nei pazienti fragili ad alto rischio di sanguinamento dopo ictus cerebrale o infarto miocardico.
Gli studi sulla sicurezza suggeriscono bassi tassi di sanguinamento con questi nuovi farmaci. Sono in corso gli studi di fase 3 per valutare l’efficacia nei pazienti a rischio di eventi tromboembolici. Sono farmaci somministrabili in una singola somministrazione endovenosa con effetto persistente per 4-6 settimane, ideali nella profilassi post operatoria, oppure in formulazione sottocute una volta alla settimana.
Una terza categoria di anticorpi monoclonali ha un’emivita breve e può essere assunta per via orale, il che li rende estremamente maneggevoli nel paziente con elevato rischio di sanguinamento o in caso di necessità di sospensione spontanea.
Se si confermasse l’efficacia di questi farmaci in grado di ridurre il rischio di trombosi , preservando la cascata della coagulazione in risposta al sanguinamento, verrebbero sostituiti velocemente tutti gli anticoagulanti attualmente in uso.
Da dove è nata l’idea?
Dagli esperimenti che fa madre natura, ovviamente.
Pazienti con deficit genetico di FXI hanno tassi estremamente più bassi di TEV (75% in meno), ictus e infarto miocardico (50% in meno) rispetto alla popolazione generale, senza aumento dei tassi di sanguinamento spontaneo o post traumatico.
Una singola dose di anticorpi monoclonali dopo intervento di protesi di ginocchio ha portato a risultati superiori all’EBPM nella prevenzione del tromboembolismo venoso, senza incremento del tasso di sanguinamento.
Uno studio ha confrontato un anti-XI orale con apixaban nella fibrillazione atriale, evidenziando una maggior sicurezza sul rischio di emorragia cerebrale. Studio sottodimensionato per valutarne l’efficacia sulla prevenzione dell’ictus cardio-embolico, ma lo dose utilizzata di farmaco è stata in grado inibire oltre il 90% dell’attività del Fattore XI.
A breve dovremmo avere i risultati dell’utilizzo di un antiXI orale confrontato con rivaroxaban nei pazienti con fibrillazione.
Due studi hanno valutato la sicurezza dell’anti XI associato alla terapia antiaggregante dopo un ictus cerebrale ischemico, senza evidenza di incremento degli eventi emorragici ed evidenziano una riduzione dose dipendente del rischio di recidiva ischemica cerebrale.
Uno studio ha valutato la sicurezza dell’anti XI associato a terapia antiaggregante dopo l’infarto miocardico, senza evidenza di aumento di sanguinamento. L’efficacia sulla prevenzione della recidiva di evento CV necessita di numerosità campionaria e follow up maggiori.
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