The association between venous thrombosis and long air travel was first described in 1950. In 1970 the term "economy class syndrome" was born.
Additional studies have expanded this association between venous thrombosis and any travel characterized by prolonged immobilisation.
It seems that a journey by any means (plane, car, train) of at least two hours increases the risk of thrombosis by about two times, and that this risk increases proportionally with the duration of the journey. Furthermore, the risk lasts for about a month after the end of the trip.
Despite this evidence, the absolute risk remains low, and the evidence is of low quality due to the large heterogeneity of the studies.
We also have a selection bias, linked to the fact that, in most cases, those who undertake a long journey are assumed to be in good health.
Prophylaxis with aspirin has not shown efficacy, LMWH has shown a little significant efficacy, while the adoption of elastic stockings seems effective.
The guidelines in this regard give recommendations with a low degree of certainty.
ASH in 2018 does not recommend any prophylaxis for long journeys (>4 hours), although it recognizes that socks can reduce oedema and make the journey more comfortable. Frequent walking, calf muscle exercise, sitting on the aisle seat are recommended.
LMWH prophylaxis is recommended in conditions of increased risk of VTE (recent surgery, history of VTE, hormone replacement therapy, pregnant or postpartum women, malignancies).
The recommendations of the 2012 American College of Chest Physicians guidelines, as well as the 2017 Saudi Arabian Ministry of Health guidelines, suggested frequent walking, calf muscle exercise, and aisle seat sitting on journeys >8 hours. Stockings are not recommended, while thrombosis prophylaxis is only recommended for high-risk travellers.
The American College of Obstetricians and Gynaecologists in 2018 advises pregnant women to wear support stockings, hydrate, and move while traveling, even if the recommendation is weak.
The British Society of Haematology in 2011 recommends travellers at risk of VTE to wear elastic stockings and to evaluate the use of heparin in patients at very high risk.
In conclusion:
VTE after a long journey is a rare event.
The association between travel and VTE is difficult, possibly because there are too many variables. In essence, a long journey (>4h) is a minor risk factor and probably not sufficient to generate VTE.
The term "economy class syndrome" is outdated: flying business class did not reduce the risk of VTE, although flying by the window doubles the risk of DVT.
The effectiveness of elastic stockings (15-30 mmHg) seems to be confirmed by studies and should be recommended to patients worried about the risk of DVT, together with hydration and movement.
Antithrombotic prophylaxis has not given the expected positive results but can be considered in high-risk patients.
talian Version
Chi ha paura della trombosi da viaggio?
L’associazione tra trombosi venosa e lunghi viaggi aerei viene descritta per la prima volta nel 1950. Nel 1970 nasce il termine “sindrome della classe economica”.
Ulteriori studi hanno ampliato questa associazione tra trombosi venosa e qualsiasi viaggio caratterizzato da prolungata immobilizzazione.
Sembra che un viaggio con qualsiasi mezzo (aereo, auto, treno) di almeno due ore aumenti il rischio di trombosi di circa due volte, e che questo rischio aumenti con in maniera proporzionale alla durata del viaggio. Inoltre, il rischio perdura per circa un mese dal termine del viaggio.
Nonostante queste evidenze, il rischio assoluto rimane basso e le prove sono di bassa qualità per l’ampia eterogenicità degli studi. Abbiamo, inoltre, un bias di selezione, legato al fatto che, nella maggior parte dei casi, chi intraprende un lungo viaggio si presuppone sia in buona salute.
La profilassi con aspirina non ha dimostrato efficacia, l’EPBM ha mostrato una efficacia poco significativa, mentre l’adozione di calze elastiche sembra efficace.
Le linee guida in merito danno raccomandazioni con grado basso di certezza.
L’ASH nel 2018 non consiglia nessuna profilassi per viaggi lunghi (>4 ore), anche se riconosce che le calze possono ridurre l’edema e rendere il viaggio più confortevole. Vengono raccomandati deambulazioni frequenti, esercizio muscolare del polpaccio, seduta sul sedile dal lato del corridoio.
La profilassi con EMBM è consigliata in condizioni di rischio aumentato di TEV (interventi chirurgici recenti, storia di TEV, terapia ormonale sostitutiva, donne in gravidanza o postpartum, tumori maligni).
Le raccomandazioni delle linee guida dell'American College of Chest Physicians del 2012, come le linee guida Ministero della Salute dell'Arabia Saudita del 2017, suggerivano frequenti deambulazioni, esercizio muscolare del polpaccio e seduta sul sedile del corridoio nei viaggi >8 ore. Le calze non sono raccomandate, mentre la profilassi antitrombotica è raccomandata solo per viaggiatori ad alto rischio.
L'American College of Obstetricians and Gynecologists nel 2018 consiglia alle donne incinte di indossare calze elastiche, idratarsi e muoversi durante il viaggio, anche se la raccomandazione è debole.
La British Society of Haematology nel 2011 raccomanda ai viaggiatori a rischio di TEV di indossare calze elastiche e di valutare l’utilizzo di eparina nei pazienti a rischio molto elevato.
In conclusione:
Il TEV dopo lungo viaggio è un evento raro.
L’associazione tra viaggio e TEV è difficile, verosimilmente perché ci sono troppe variabili. In sostanza un lungo viaggio (>4h) in sé è un fattore di rischio minore e probabilmente, non sufficiente per generare il TEV.
Il termine “sindrome della classe economica” è superato: volare in business class non ha ridotto il rischio di TEV, anche se volare vicino al finestrino raddoppi il rischio di TVP.
L’efficacia della calza elastica (15-30 mmHg) sembra essere confermata dagli studi, ed è da consigliare ai pazienti preoccupati dal rischio di TVP, assieme all’idratazione e il movimento.
La profilassi antitrombotica non ha dato i risultati positivi sperati, ma può essere in considerata nei pazienti ad alto rischio.
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