Is it safe to anticoagulate the patient after a cerebral hemorrhage during DOAC?
Do you reduce the DOAC dosage, give aspirin or give nothing?
And if a patient who took a low-dose DOAC for atrial fibrillation or venous thromboembolism develops a cerebral hemorrhage, what do we do once the acute condition has been resolved?
(down to Italian version)
Stroke is one of the main causes of death and disability. 80% of strokes are ischemic, and up to a third of these are related to cardioembolism from non-valvular atrial fibrillation.
DOACs have a lower risk of cerebral haemorrhage than warfarin. Antiplatelet therapy brings a modest reduction in ischemic risk compared to DOACs, but in the long term, aspirin or clopidogrel present an equal risk of bleeding and are therefore an disadvantageous option.
Retrospective studies that have evaluated what happens to a patient with atrial fibrillation no longer anticoagulated after a cerebral haemorrhage have shown a rate of cardio-embolic ischemic events 5 times higher than in patients on anticoagulant treatment, while up to one in five of patients in whom if anticoagulant therapy was resumed, he could develop a recurrence of cerebral haemorrhage.
However, the estimates obtained are limited by strong selection bias.
The first feasibility study (NASPAF-ICH) on 30 patients laid the foundations for answering this clinical question and paved the way for two subsequent randomized pilot studies, the APACHE-AF and the so-START study.
The Dutch APACHE-AF study is a randomized controlled trial that evaluated what happens to patients in whom apixaban (5 mg or 2.5 mg b.i.d.) is introduced 7-90 days after a cerebral hemorrhage during anticoagulation therapy for atrial fibrillation. This open-label phase II study set out to explore the basis for a subsequent phase III study to evaluate optimal treatment in patients at high risk for cerebral ischaemia than for bleeding.
101 patients were recruited, half of whom resumed DOAC, 26 received antiplatelet therapy, and 25 received no antithrombotic treatment. The mean follow up was approximately 2 years. The composite rate of stroke and vascular death was identical in the two groups, equal to 12% per year. Serious adverse events (including systemic embolisms, recurrent cerebral haemorrhage, and non-vascular death) did not differ in the two groups and involved nearly 60% of patients.
The so-START study is a similar British pilot study, which involved 218 patients who presented spontaneous cerebral haemorrhage (84% on anticoagulant and 16% on aspirin for atrial fibrillation) half of whom were randomized to re-initiate oral anticoagulant therapy (DOAC at therapeutic doses according to the technical data sheet) within 4 months of the bleeding event. The control group could take an antiplatelet or no antithrombotic drug. The mean follow up was 1.2 years. Out of 101 patients treated with anticoagulants, 8 patients re-presented a cerebral haemorrhage (compared to 4 patients in the control group), 22 died (compared to 11 in the control group). The composite secondary end points (any major vascular event, death, recurrence of ischemic stroke) were twice as frequent in the group without anticoagulation, although there was no statistical significance. Serious adverse events were comparable.
The results of the two studies are not comforting and do not answer our initial question. We need a larger controlled trial to identify subgroups of patients in which anticoagulant therapy can be safely resumed or should be permanently discontinued.
Meanwhile, navigating between Scilla and Cariddi, we learn to share our fears and the limitations of modern medicine with our patients. But we must remember that in trying to choose the lesser evil we may not even be so lucky.
E se anche il DOAC ci tradisce?
Dopo un’emorragia cerebrale in corso di DOAC è sicuro anticoagulare ancora il paziente?
Riduci il dosaggio del DOAC, dai dell’aspirina o non dai niente?
E se un paziente che assumeva un DOAC a basso dosaggio per fibrillazione atriale o tromboembolismo venoso sviluppa un’emorragia cerebrale, cosa facciamo una volta risolta l’acuzie?
L’ictus è una delle principali cause di morte e disabilità. L’80% degli ictus sono di tipo ischemico, e fino ad un terzo di questi è legato da un cardioembolismo da fibrillazione atriale non valvolare.
I DOAC presentano un rischio di emorragia cerebrale inferiore rispetto al warfarin. La terapia antiaggregante porta una modesta riduzione del rischio ischemico rispetto ai DOAC, ma a lungo termine l’aspirina o il clopidogrel presentano un pari rischio emorragico e sono quindi un’opzione poco vantaggiosa.
Studi retrospettivi che hanno valuto cosa succede ad un paziente con fibrillazione atriale non più anticoagulato dopo un’emorragia cerebrale hanno evidenziato unntasso di eventi ischemici cardio-embolici 5 volte superiore rispetto ai pazienti in trattamento anticoagulante, mentre fino a uno su cinque dei pazienti in cui veniva ripresa la terapia anticoagulante poteva sviluppare una recidiva di emorragia cerebrale. Le stime ottenute tuttavia sono limitate da forti bias di selezione.
Il primo studio fattibilità (NASPAF-ICH) su 30 pazienti ha gettato le basi per rispondere a questo quesito clinico e ha aperto la strada a due studi pilota randomizzati successivi l’APACHE-AF e lo studio so-START.
Lo studio olandese APACHE-AF è un studio randomizzato controllato che ha valutato cosa accade ai pazienti in cui apixaban (5 mg o 2.5 mg b.i.d.) viene introdotto dopo 7-90 giorni da un’emorragia cerebrale in corso di terapia anticoagulante per fibrillazione atriale. Questo studio di fase II, in aperto, voleva sondare le basi per un studio successivo in fase III per valutare il trattamento ottimale in pazienti ad alto rischio di ischemia cerebrale che di sanguinamento.
Sono stati reclutati 101 pazienti, in metà dei quali è stato ripreso il DOAC, 26 hanno ricevuto terapia antiaggregante e 25 non hanno ricevuto nessun trattamento antitrombotico. Il follow up medio è stato di circa 2 anni. Il tasso composito di ictus e morte vascolare è risultato identico nei due gruppi, pari al 12% annuo. Gli eventi avversi seri ( tra cui embolie sistemiche, recidive di emorragia cerebrale e morte non vascolare) non differivano nei due gruppi e coinvolgevano quasi il 60% dei pazienti.
Lo studio so-START è un analogo studio pilota inglese, che ha coinvolto 218 pazienti che hanno presentato un’emorragia cerebrale spontanea (84% in corso di anticoagulante e il 16% in aspirina per fibrillazione atriale) metà dei quali randomizzati ad iniziare nuovamente la terapia anticoagulante orale (DOAC a dosi terapeutiche secondo scheda tecnica) entro 4 mesi dall’evento emorragico. Il gruppo di controllo poteva assumere un antiaggregante o nessun farmaco antitrombotico. Il follow up medio era di 1.2 anni . Su 101 pazienti trattati con anticoagulanti 8 pazienti hanno presento nuovamente una emorragia cerebrale ( rispetto a 4 pazienti nel gruppo di controllo), 22 sono deceduti ( contro 11 nel gruppo controllo). Gli end point secondari compositi ( qualsiasi evento vascolare maggiore , morte, recidiva di ictus ischemico) erano due volte più frequenti nel gruppo senza terapia anticoagulante , anche se non era presente una significatività statistica. Gli eventi avversi seri erano sovrapponibili.
I risultati dei due studi non sono confortanti e non danno una risposta alla nostra domanda iniziale. Abbiamo bisogno di un trial controllato di dimensioni maggiori per identificare dei sottogruppi di pazienti in cui la terapia anticoagulante possa essere ripresa con sicurezza o debba essere sospesa definitivamente.
Intanto, navigando tra Scilla e Cariddi, impariamo a condividere con i nostri pazienti i nostri timori e i limiti della medica moderna. Ma dobbiamo ricordare che nel tentativo di scegliere il male minore potremmo anche non essere così fortunati.
Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito. (Antoine de Saint-Exupéry)
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