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Varicose veins: what danger is hiding?


A study published in the European Heart Journal of 2021 followed about 12,000 people with chronic venous insufficiency for about 6 years, highlighting how chronic venous insufficiency represented an independent risk factor of mortality from all causes and this risk increased with the worsening of venous disease.

(down for Italian Version)


However, the presence of varicose veins is extremely frequent (over one in three people are affected), and the prevalence, which is higher in women, increases with age and body weight.

In the patient who develops venous ulcer, the most severe stage of venous disease, the life span is reduced, a fact probably aggravated by a series of factors that lead to the development of the condition (post thrombotic syndrome, obesity, hypomobility, diabetes, coexistence of peripheral arterial disease, social condition).

However, a part of the literature has pointed out that in the patient with varicose veins in the lower limbs a chronic inflammatory state persists, linked to oxidative self and an altered endothelial function, factors shared in the development of atherosclerotic and thromboembolic disease.


A large retrospective study of over 200,000 patients published in 2018 in JAMA, found an association between chronic venous insufficiency and deep vein thrombosis, with an increased risk of thrombosis by more than 5 times compared to the general population.


The presence of peripheral arterial disease in patients with venous ulcer of the lower limbs is a not rare condition that carries important clinical and therapeutic repercussions.

The venous ulcer develops because of local venous hypertension and the chronic inflammatory state secondary to it, but often the ulcer has a mixed aetiology linked to the coexistence of diabetes and peripheral arteriopathy.


The key therapy for venous healing is the reduction of venous hypertension by compression with bandages and elastic stockings that can reach values ​​ranging from 40 to 80 mmHg.

In these cases, it is mandatory to exclude severe peripheral arterial disease, perhaps asymptomatic due to the presence of diabetic neuropathy or poor mobilization.


It is useful to determine the arterial pressure in tibial arteries and their relationship with the humeral arterial pressure (Ankle / brachial index) to identify patients with an ABI <0.5, which represent a contraindication to compression therapy.

Low-dose oral anticoagulant therapy (rivaroxaban 2.5 mg b.i.d) associated with aspirin in patients with peripheral arterial disease has shown an advantage in terms of overall and free survival from cardio and cerebrovascular events.

It appears intuitive that the concomitant presence of peripheral arterial disease and chronic venous insufficiency can increase the benefit of this pharmacological association, but we do not yet have data on this.







Italian Version

Vene varicose: un pericolo nascosto?

Uno studio pubblicato su European Heart Journal del 2021 ha seguito circa 12 mila persone affette da insufficienza venosa cronica per circa 6 anni, evidenziando come l’insufficienza venosa cronica rappresentava un fattore di rischio indipendente di mortalità per tutte le cause e questo rischio aumentava con l’aggravarsi della malattia venosa.

Tuttavia, la presenza di varici è estremamente frequente (oltre una persona su tre ne è affetta), e prevalenza, maggiore nelle donne, aumenta con l’età e il peso corporeo.

Nel paziente che sviluppa l’ulcera venosa, lo stadio più grave della malattia venosa, la spettanza di vita si riduce, fatto probabilmente aggravato da una serie di fattori che portano allo sviluppo della condizione (sindrome post trombotica, obesità, scarsa mobilizzazione, diabete, compresenza di arteriopatia periferica, condizione sociale).

Una parte della letteratura ha sottolineato comunque come nel paziente con varici agli arti inferiori persiste uno stato infiammatorio cronico, legato a stress ossidativo e una funzione endoteliale alterata, fattori condivisi nello sviluppo della malattia aterosclerotica e tromboembolica.

Uno ampio studio retrospettivo su oltre 200.000 pazienti pubblicato nel 2018 su JAMA ha evidenziato una associazione tra insufficienza venosa cronica e trombosi venosa profonda, con aumento del rischio di trombosi di oltre 5 volte rispetto alla popolazione generale.


La presenza di arteriopatia periferica nei pazienti con ulcera venosa degli arti inferiori è una condizione non rara che porta delle ripercussioni cliniche e terapeutiche importanti.

L’ulcera venosa si sviluppa come conseguenza dell’ipertensione venosa locale e dello stato infiammatorio cronico secondario ad essa, ma spesso l’ulcera presenta un’eziologia mista legata alla compresenza di diabete ed arteriopatia periferica.

La terapia cardine per la guarigione venosa è la riduzione dell’ipertensione venosa mediante compressione con bendaggi e calze elastiche che possono raggiungere una valori che variano dai 40 agli 80 mmHg.

In questi casi è d’obbligo escludere una arteriopatia periferica grave, magari asintomatica per la presenza di neuropatia diabetica o scarsa mobilizzazione.

Utile è la determinazione della pressione arteriosa nelle arterie tibiali e il loro rapporto con la pressione arteriosa omerale (indice caviglia/braccio) per identificare i pazienti che presentano un ABI <0.5, che rappresentino una controindicazione alla terapia compressiva.


Basse dosi di terapia anticoagulante orale (rivaroxaban 2.5 mg b.i.d) associata ad aspirina nei pazienti con arteriopatia periferica hanno dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza globale e libera da eventi cardio e cerebrovascolari.

Appare intuitivo come la concomitante presenza di arteriopatia periferica ed insufficienza venosa cronica non possa aumentare il beneficio di questa associazione farmacologica, ma non abbiamo ancora dati in merito.

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