Cancer is a major risk factor for developing venous thromboembolic disease.
When a cancer patient develops deep vein thrombosis or pulmonary embolism, his prognosis worsens.
VTE is the expression of a more aggressive disease and complicates its management. Cancer patients on anticoagulant therapy have higher rates of thrombotic recurrence and bleeding.
The current guidelines are in agreement: once a cancer patient develops a thromboembolic event he will have to remain anticoagulated as long as the disease is active. We can discuss with what drug and with what dosage in the different stages of the disease, but without anticoagulant anticoagulation any cancer patient has a high rate of relapse.
It is therefore logical to think that antithrombotic prophylaxis could benefit all patients with active cancer, perhaps just when they undergo cycles of chemotherapy or radiotherapy.
The Cochrane 2021 update evaluated the evidence in this regard, comparing previous studies with vitamin k antagonists with more recent ones that saw the use of direct anticoagulants.
The parameters evaluated were safety, efficacy and the effect on mortality.
6 studies conducted with warfarin gave disappointing results: the effectiveness in reducing thromboembolic events was swept away by an unacceptable increase in the risk of bleeding (about 3 times) with a minimal and non-significant (5-7%) reduction in mortality.
3 studies with apixaban and one study with rivaroxaban showed a warfarin-equivalent reduction in mortality (6%), a significant reduction in the risk of DVT (42%) and pulmonary embolism (52%), and an increased risk of bleeding greater than 1.6 times.
Prophylaxis appears to be useful, perhaps with LMWH or low-dose DOAC, but it is difficult to make strong recommendations because the number of thromboembolic events in these patients is very low.
In fact, international guidelines remain cautious on the issue.
We should select patients based on their thrombo-embolic risk (e.g. with the Khorana score), the type of tumor (remembering that patients with gastrointestinal neoplasia have a higher risk of bleeding with DOACs) and the type of therapy (e.g. tyrosine kinase inhibitors reduce the effect of DOACs).
Too many variables and too many novelties in the field of chemotherapy: the oncologist will always be one step ahead of the vascular doctor, because his patient does not always have the time to wait for the results of randomized trials.
It is especially for these patients that we have to play as a team.
Tempo di DOAC in profilassi a tutti gli oncologici?
Il cancro è un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di malattia tromboembolica venosa.
Quando un paziente oncologico sviluppa una trombosi venosa profonda o un’embolia polmonare la sua prognosi peggiora.
Il TEV è espressione di una malattia più aggressiva e ne complica la gestione. I pazienti oncologici in terapia anticoagulante presentano tassi maggiori di recidive trombotiche e di sanguinamenti.
Le linee guida attuali sono concordi: una volta che un paziente oncologico sviluppa un evento tromboembolico dovrà restare anticoagulato finché la malattia è attiva. Possiamo discutere con che farmaco e con che dosaggio nelle diverse fasi malattia, ma senza terapia anticoagulante anticoagulante qualsiasi paziente oncologico presenta un alto tasso di recidiva.
E’ logico quindi pensare che una profilassi antitrombotica potrebbe giovare a tutti i pazienti con neoplasia attiva, magari proprio quando si sottopongono a cicli di chemioterapia o radioterapia.
L’aggiornamento Cochrane 2021 ha valuto le evidenze in merito, confrontando gli studi precedenti con gli antagonista della vitamina k con quelli più recenti che hanno visto l’utilizzo degli anticoagulanti diretti.
I parametri valutati sono stati la sicurezza, l’efficacia e l’effetto sulla mortalità.
6 studi condotti con warfarin hanno dato risultati deludenti: l’efficacia nella riduzione degli eventi tromboembolici era spazzata via da aumento inaccettabile del rischio di sanguinamento (circa 3 volte) con una riduzione minima e non significativa ( 5-7%) della mortalità.
3 studi condotti con apixaban e uno studio condotto con rivaroxaban hanno evidenziato una riduzione pari al warfarin della mortalità (6%), una riduzione significativa del rischio di TVP (42%) e di embolia polmonare (52%), e aumento del rischio di sanguinamento maggiore di 1.6 volte.
La profilassi sembra essere utile, magari con EBPM a DOAC a basse dosi, ma è difficile dare delle raccomandazioni forti perché il numero di eventi in questi pazienti è molto basso.
Infatti le linee guida internazionali si mantengono caute sulla questione.
Dovremmo selezionare i pazienti in base al loro rischio trombo-embolico ( es. con lo score Khorana), al tipo di tumore ( ricordando che il pazienti con neoplasia gastrointestinale hanno maggior rischio di sanguinamento con i DOAC) e al tipo di terapia (es. gli inibitori delle tirosin Kinasi riducono l’effetto dei DOAC).
Troppe variabili e troppe novità in campo di chemioterapia: l’oncologo sarà sempre un passo avanti rispetto al medico vascolare, perché il suo paziente non sempre ha il tempo di aspettare che i risultati di trial randomizzati.
E’ soprattutto per questi pazienti che dobbiamo fare gioco di squadra.
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